L’abito non fa il monaco, le scarpe sì

Il sole basso del tramonto ormai avanzato allunga le ombre sui bordi della strada che da cent’anni accompagna da Asti ad Alessandria i viandanti con il loro carico di pensieri, paure, sogni. Laggiù, il profilo delle prime case di Quattordio, e un’alta costruzione che da lontano pareva una torre, annunciavano la fine di un rettilineo che si era allungato per chilometri in un susseguirsi di leggeri saliscendi. Fu allora che il conducente del trattore appena volato via “da quel diaul” notò accendersi i freni della Maserati MC20. Stefano Arnaboldi, nato 56 anni prima all’estrema periferia di Milano in una casa di ringhiera senza servizi e riscaldata a carbone, guidava con piacere e sottile orgoglio quella fuoriserie. Salirci sopra, gli dava ogni volta la conferma di avercela fatta. Potere di una Maserati, nera come il suo umore dopo quel viaggio di lavoro nelle Langhe. Stefano Arnaboldi, occhi azzurri, lineamenti ben squadrati, curava con impegno ed orgoglio il fisico atletico da ex campione ben noto anni prima alle cronache sportive. Aveva i capelli rasati a zero ogni mattina con la lametta, come solitamente fa chi non tollera neppure un accenno di calvizie. E il pizzetto appena disegnato sul volto. Era infuriato, non accettava che un affare saltasse. “Mi basterà aspettare un po’, verranno loro a cercarmi”, rimurginava tra sé Stefano. Un attimo dopo la sua attenzione era attratta solo dalla macchia rossa di un cartello azzurro, al bordo destro della Provinciale. Malgrado il sole fosse sempre più basso, man mano che si avvicinava i contorni di quella macchia e di quel cartello diventavano chiari. “La Monsterrato-Strade Bianche Monferrato”, c’era scritto sul cartello. E la macchia rosa altro non era che la sagoma di un corridore degli anni eroici. Quando la Maserati MC20 rispose sgommando all’energico colpo sull’acceleratore, Stefano Arnaboldi aveva dimenticato l’umore nero, pensava solo a quando sarebbe potuto tornare a Quattordio per pedalare con la fida gravel su quelle strade bianche. “Da Milano sono qui in mezzora, basta un pomeriggio libero…”, rifletteva affondando ancor più sull’acceleratore la suola delle Santoni Limited Croco da 3600 euro. Sì, perché – come spesso ripeteva agli amici più intimi – “l’abito non fa il monaco ma le scarpe sì”

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CHIMERA – Due mesi erano trascorsi e quel “pomeriggio libero” da facile opportunità pareva diventato chimera. “Le chiedono se può rinviare l’appuntamento a giovedì prossimo”, gli comunicò al telefono la segretaria quella mattina di fine novembre. Stefano aveva già pronta la ventiquattrore per il volo Alitalia delle 10,10 che dopo 65 minuti l’avrebbe scaricato a Londra. Il primo moto di disappunto si sciolse in un sorriso. Pochi minuti e stava sganciando le ruote della sua gravel bike per poterla caricare nell’ampio baule della Range Rover, l’auto un po’ datata ma perfettamente tenuta che aveva preferito usare per l’occasione. Come confermava il Rolex GMT Master Ice, cinquantadue minuti dopo aver avviato il motore del box dell’elegante suite milanese in zona San Siro, Stefano entrava in sella alla gravel nel cortile di un antico palazzo di Quattordio. La sua attenzione fu richiamata dall’insegna bianca e rossa che incorniciava una porta a vetri: “Monsterrato Point”. Un cartello moderno, realizzato però con materiale, stile e caratteri vintage. Fissata la gravel alla rastrelliera, Stefano si avvicinò alla porta e il vetro si aprì automaticamente. Varcata la soglia, osservò con interessa quel pianoforte antico, impreziosito da due candelabri fissati sulla cassa armonica. E il quadro ottocentesco che ritraeva una nobildonna locale, che poi scoprì essere stata tanto ricca quanto generosa. Sul lato opposto, dietro un banco, una signorina discuteva animatamente al telefono. Susanna, questo il nome di quella ragazzona capace di parlare 3 lingue e di lavorare tra le vigne e la stalla di famiglia, stava definendo nei dettagli la trasferta in Monferrato di un gruppo di ciclisti toscani. Stefano aspettò il proprio turno. E pochi minuti dopo, caricava sul computerino della bici la traccia satellitare di un percorso da 110 km, non prima però di aver ripiegato accuratamente il foglio che riportava punti di interesse, bar e ristoranti presenti sul tracciato, numeri da chiamare per l’assistenza meccanica e sanitaria. A Stefano non bastava: chiese a Susanna se fosse possibile essere scortato da una vettura di assistenza e da una guida ufficiale Monsterrato, come riportato sul depliant. “Vede? Qui c’è scritto che la vettura di assistenza va prenotata in anticipo”, gli sorrise la Susanna con un tono cortese ma deciso, che non ammetteva repliche. Stefano salutò, avviò la traccia satellitare caricata sul computerino, e si allontanò per imboccare la strada bianca che costeggiava la ferrovia in direzione Cerro Tanaro. Qui, appuntamento al Museo della Bicicletta Sarachet, lo attendeva Tino, guida ufficiale Monsterrato che – per uno di quegli scherzi del destino che possono decidere il futuro – proprio quella mattina aveva potuto rispondere “sì” alla chiamata last minute di Susanna. Tino conosceva come le proprie tasche ogni anfratto del Monferrato tra Asti e Casale; castelli, cascinali, monumenti e antichi borghi non avevano per lui segreti. Qualche anno prima era stato una promessa della mountain bike italiana: aveva sacrificato le ambizioni agonistiche all’impegno richiesto dal vitigno e dalle mucche dell’impresa agricola di famiglia a Refrancore. O meglio, così sussurravano gli amici, così aveva deciso seppur a malincuore per evitare le sfuriate che il padre Tista gli riservava ad ogni trasferta e ad ogni ritorno, con minaccia più volte ribadita di gettare nel Tanaro quella “maledetta bici”. La bicicletta restava comunque al centro della vita di Tino, che aveva intuito dall’inizio l’importanza di quella Monsterrato e di questo nuovo lavoro. Conosceva perfettamente l’inglese e stava studiando per migliorare il suo tedesco. Dal Nord Europa – Germania, Olanda, Danimarca e Svezia – provenivano infatti gran parte dei cicloturisti con i quali aveva lavorato negli ultimi mesi; quasi tutti portati alla scoperta del Monferrato dalla VenTo, la ciclabile che unisce Torino a Venezia costeggiando il Po, finalmente completata e ora formidabile motore per il cicloturismo. I Comuni più illuminati e alcuni operatori privati avevano intuito le potenzialità di quella pista ciclabile, collegata a nord alle grandi ciclovie europee: così sulla VenTo tra la confluenza del Tanaro nel Po e Casale, erano spuntati cartelli turistici che, come in un’uscita autostradale, invitavano i cicloviandanti ad esplorare le colline dell’entroterra, patrimonio dell’Umanità Unesco. Una patente splendida, finalmente valorizzata

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FLEMMATICO Dopo una vigorosa stretta di mano e i reciproci complimenti per le rispettive bici, i due iniziarono a discutere. Stefano atletico, quasi statuario, flemmatico; Tino piccolo e mingherlino, in apparenza tutto nervi: così diversi, sarebbero andati d’accordo? Tino volle sapere livello di allenamento di Stefano e le sue aspettative per quella pedalata. L’avrebbe scortato fino a quella salita breve ma ripida, che sembrava impennarsi verso il cielo? Più opportuno optare un classico mangia-e-bevi collinare? O meglio scegliere le strade bianche pianeggianti della bassa? Era il primo quesito da chiarire, quello decisivo per la buona riuscita della mattinata. Stefano dedicava quasi tutto il tempo libero al ciclismo, l’unico sport che – evitando la battuta sul terreno – potevano sopportare le sue ginocchia, quella di sinistra in particolare, duramente provate da una carriera agonistica eccezionale per il conto in banca malgrado troppi infortuni l’avessero penalizzata. Un gruzzolo investito con buoni risultati nel settore dell’attrezzatura per palestre e dell’abbigliamento sportivo. C’era sempre da lottare. Come del resto succede in bici. La recente morte di un caro amico, travolto da un Tir mentre pedalava in Brianza, lo aveva provato. Per qualche mese non era riuscito a guardare la bici. Poi un sabato a Milano, fermo in coda ad un semaforo rosso, gli era caduto l’occhio su quella bicicletta che campeggiava nella vetrina del negozio a lato. Sembrava una bici da corsa, ma aveva qualcosa di strano. Accostò nel primo parcheggio libero. “E’ una gravel bike, ne stiamo vendendo moltissime – gli spiegò il commesso del negozio di bici – Come vede, il telaio ha una geometria corsaiola, ma è costruito in modo da poter ospitare ruote con gomme più ampie. Un ibrido tra bici da corsa e mountain bike: permette di fare velocità sull’asfalto ma soprattutto di affrontare le strade bianche. Con tutti gli incidenti che si sentono ogni giorno, sempre più ciclisti optano su pedalare su circuiti protetti, le strade bianche sono tornare un must”. Ovviamente, quel commesso tolse subito dopo dalla vetrina la gravel arancione che finì nel box dell’Arnaboldi. A distanza di alcuni mesi dall’acquisto che l’aveva soddisfatto, Stefano inforcava ora quel gioiellino di gravel nuova di pacca, preparato su misura dal figlio del noto telaista di Cusano Milanino. Anche a Stefano le strade bianche davano sicurezza. Una sensazione piacevole che si mescolava ad un affascinante senso di libertà. Quella macchia rossa sul cartello azzurro di Quattordio gli aveva aperto nuovi orizzonti. Aveva scoperto che “strade bianche” non significava solo Toscana, che a 50 minuti da Milano lo aspettava un eldorado di quel mondo agreste. Era deciso a scoprirlo. Voleva capire se era fatto per lui.

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GALLI E CAPPONI La discussione tra Stefano e Tino sul percorso da scegliere fu brevissima, e i due puntarono su un percorso collinare senza strappi troppo duri. Di fronte a qualcosa che non conosceva, Stefano aveva sempre un approccio soft: troppe volte nello sport aveva visto galletti fare le fine del cappone, non voleva che quella figuraccia toccasse a lui. Tino aveva apprezzato l’approccio di Stefano, aveva intuito che la prudenza di quel cliente era persino eccessiva. Quante volte gli era capitato di portare tra quelle colline dolci e tremende clienti spavaldi, partiti a razzo, che poi aveva dovuto spingere per tornare alla base? “Questa volta non succederà”, pensò tra sé Tino. La sua sensibilità naturale, terraiola, gli aveva fatto capire che sarebbe nato un buon feeling. Era deciso a dare a quel cliente rispettoso il meglio della sua professionalità di guida cicloturistica riconosciuta dalla Regione Piemonte. Bastarono pochi chilometri e Stefano pendeva dalle gambe e dalla lingua di Tino. Assorbiva come una spugna i racconti di quella guida che gli pareva così strana eppure lo affascinava. Con passare dei chilometri, Tino raccontava tutto ciò che sapeva, forse anche qualcosa in più. Tutte le battaglie combattute nel medioevo attorno a quel castello sulla sinistra, il miracolo avvenuto in quel vigneto più avanti, il palazzo su quella collina dove Vittorio Emanuele II riposava tra le braccia della Bella Rosin dopo estenuanti battute di caccia, il cascinale diroccato dove qualche anno prima era stato scoperto un arsenale della 1/a Guerra d’Indipendenza (baionette, munizioni e divise ora esposte in una bacheca comunale che però nessuno conosce), quel strada bianca dove – secondo la leggenda – è ancora nascosto il tesoro del Pustion, il brigante che rubava ai ricchi per dare ai poveri, anche se forse non era proprio così. Con lo scorrere dei chilometri, Stefano era sempre più stupito, quasi ipnotizzato da quello che vedeva e dai racconti di Tino. Dove l’avevano nascosta finora – si chiedeva – quella terra affascinante e sorprendente? Sotto le sue ruota stava succedendo qualcosa di eccezionale. Tutto cambiava. Dal corso regale del Po alle acque orgogliose del Tanaro; dalle strade bianche che costeggiano i canali della fertile Bassa alle mulattiere in collina; dal Carnaroli alle vigne di Barbera, Grignolino, Nebbiolo e Ruchè; dalle cicogne ai falchi, dagli aironi alle poiane, dalle rane ai cinghiali e caprioli; dalle baracche dei pescatori alle baite di tufo; dagli sterrati tra i canneti della ciclovia VENTO nel parco Aree Protette Po vercellese-alessandrino (paradiso del birdwatching), ai tornanti che si arrampicano in collina verso castelli e borghi medievali; dai chiodini ai tartufi; dai pergolati agli Infernot; da Carlo Carrà a Cristoforo Colombo. Sotto le ruote e davanti agli occhi di Stefano, sempre più sorpreso, il paesaggio mutava in modo radicale, spettacolare, drammatico. Era sincero l’abbraccio con cui Stefano salutò Tino, che dopo 4 ore dovette scendere dalla bici per tornare al lavoro in cascina. Stefano si sentiva ancora fresco. L’approccio soft alla pedalata gli aveva permesse di conservare energie. Decise quindi di pedalare ancora un po’ seguendo le ultime indicazioni di Tino, con il quale – così si erano accordati – avrebbe cenato quella sera in trattoria

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LA SIGNORA DI GRANA “Sì, sono del posto. Ma a lei che cosa interessa!”. Mostrava la faccia più aggressiva quell’esile, piccola signora del Monferrato sull’ottantina che stava camminando rasente al muro su un acciottolato in salita a Grana. Quasi affondava dentro una vestaglia da lavoro che una volta doveva essere azzurra e che le scendeva fino alle ginocchia, lasciando scoperto in basso il risvolto di pantaloni fiorati. Ai piedi sandali strapazzati dalla vita, sulla testa un improbabile cappello di paglia che lasciava scoperti ciuffi di capelli grigi. “Mi saprebbe dire quale, tra quelle laggiù, è la strada sterrata che porta a Grazzano Badoglio?”, le chiese Stefano, che era riuscito a perdersi in quel dedalo di strade bianche, inventando il più dolce dei sorrisi. Il volto della signora del Monferrato si distese, aprendosi in un’espressione divertita e interessata. E gli occhi verdastri, poco più che fessure, diventare dolci. Venti minuti dopo, quando la salutava, Stefano aveva assorbito i discorsi entusiasti della signora. Che gli aveva raccontato come quella strada le ricordasse gli anni dell’infanzia, quando poco più che bambina la percorreva gerla in spalla per raggiungere papà e fratelli nella vigna. “Sa, adesso sono rimasta sola”. Prima di svoltare sullo sterrato, Stefano si girò un’ultima volta: quella signora stava agitando qua e là il braccio teso in alto, il suo saluto. “Se questo è il Monferrato – pensò tra sé Stefano – se questo è il carattere della sua gente, nulla di tutto ciò può andare perduto. Dove hanno nascosto finora questa terra?”

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TOCCARE LE STELLE Stefano aveva guidato su per quella mulattiera di collina, in una notte buia con le stelle così brillanti che pareva di poterle afferrare sporgendosi dal vetro abbassato. Saliva quasi con timore sul quel fondo sconnesso che anche la Range Rover sembrava non gradire. Poi la strada si allargò, comparvero le sagome di alcune case e di un campanile. Infine la piazza dove Tino lo stava aspettando, poggiato al pick up così coperto da fango e polvere che il bianco della carrozzeria si intuiva a malapena. Dall’altro capo della piazzetta, vicino ad un ufficio postale, il minuscolo ingresso al bar-tabacchi. Quasi un pertugio, sovrastato dal marchio del telefono e dall’insegna senza illuminazione con una piccola scritta a semiarco dai caratteri blu: da Corinto. “Ma questo, dove mi ha portato?” pensava Stefano osservando la fioca luce al neon che illuminava l’ingresso, il bancone del bar occupato da bicchieri e bottiglie ed il lavello pieno di bicchieri sporchi. Scostando la fila di lunghe treccine di spugna che dal soffitto dove erano appese raggiungevano il pavimento in cotto, un secondo ingresso portava alla sala da pranzo dominata dal camino acceso, con una decina di tavoli protetti da linde tovaglie a quadretti biancorossi. A fianco del camino, un suonatore allargava e stringeva la fisarmonica intrattenendo i presenti. Classica serata di metà settimana, da vivere tra amici del posto, senza l’impiccio di torinesi o, peggio, milanesi. “Non preoccupatevi – raccomanderà la settimana dopo Stefano agli amici invitati in quella trattoria – E’ uno di quei posti dove non entrereste mai e da dove poi non vorreste più uscire”.

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IL RE DELL’AGNOLOTTO Corinto, conosciuto nella zona come il Re dell’Agnolotto o – secondo altri – il generale della Finanziera, portò uno dopo l’altra una decina di piatti preparati in cucina dalla Cesarina, moglie affettuosa quanto paziente. Una sequenza dai gusti esaltanti. Stefano e Tino si trovavano bene tra di loro e in quella trattoria. Parlarono del più e del meno, non solo di ciclismo e strade bianche. Ma quando la Cesarina portò la bottiglia d’amaro, Stefano venne attratto dalle parole di due vecchi contadini del posto, che già da un po’ discutevano davanti a un calice di rosso. “L’hanno visto anche la scorsa settimana nel campo del Tai”, assicurava all’altro il tizio con i baffoni. Stefano diede un’occhiata interrogativa a Tino, che rispose con un gesto della mano come volesse parlargliene dopo. Stefano però non riusciva a staccare l’orecchio da quei discorsi che troppo lo stupivano. I due amici contadini parlavano del famoso navigatore che, nel 1451 sarebbe nato proprio tra quelle colline, in un casale di proprietà della famiglia genovese. O meglio, discorrevano del suo fantasma. L’avrebbero visto quasi sempre alla stessa ora, solitario e irraggiungibile nelle ombre del primo tramonto. L’avrebbero intravisto da molto lontano, un uomo dal portamento orgoglioso, avvolto in un’elegante mantella nera, in testa un cappello a larghe tese scure. L’avrebbero visto camminare lento tra i prati che circondano quel borgo medievale lontano da sentieri battuti, come eroso da un fuoco che gli impedisca di fermarsi, di trovare finalmente pace. Un fuoco che gli impone il viaggio eterno. Stefano dovette guardare il fuoco nel camino per tornare alla realtà. “Accadrebbe da tempi immemorabili – spiegava Tino una volta usciti dal locale -. Appare e subito scompare. Solo una volta, l’hanno visto fermarsi un attimo in cima alla collina che domina la vallata, fissando con occhi febbrili l’orizzonte a Sud, verso le Alpi Liguri. L’avrebbero visto alzare le narici quasi a voler catturare il profumo salmastro che a tratti sale fino a qui dal Mar Ligure, il suo mare. Nessuno è mai riuscito ad avvicinarlo, tantomeno a parlargli. Comunque, non chiedere qualcosa mai qualcosa su quell’uomo misterioso. “Ma quale fantasma, sono baggianate che ci raccontiamo per passare il tempo”, aveva risposto poco prima l’uomo dai baffoni alla domanda di Stefano, sempre più affascinato e stupito. Ma in quella fredda serata novembrina, mentre Stefano e Tino salivano in macchina, il baffone e l’amico girarono la testa per un rapido colpo d’occhio. Sicuri che non ci fossero più orecchie indiscrete, coccolati dal suono di una fisarmonica e con gli occhi che specchiavano le fiamme accese nel camino, il baffone domandò all’altro: “Dì, ieri sera l’hai visto anche tu?”

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TROPPO TARDI Erano le 2,30 del mattino quando una Maserati MC20 nera entrava in autostrada a Casale Sud. Per fortuna non c’era un filo di nebbia e Stefano spinse sull’accelleratore. E mentre quel bolide volava verso Milano lui pensava a quando sarebbe potuto tornare. Si augurava che il Tino, che già considerava come un amico di vecchia data, lo informasse all’indomani su quel cascinale in vendita che tanto gli sarebbe piaciuto ristrutturare. Stava ormai superando il casello di Arluno quando gli una luce verde comparì all’improvviso in mezzo alla careggiata. Non riuscì neppure a toccare il freno. Poi intorno fu solo il silenzio…..

di Claudio Luigi Bagni

(continua?)

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Pubblicato da La Monsterrato-Strade Bianche Monferrato

La Monsterrato-Strade Bianche Monferrato propone un weekenddedicato alle strade bianche il 2-3-4 settembre , nei giorni magici della vendemmia. Sabato 3 settembre Monsterrato Race, medio e gran fondo (km 113 e 150 circa) valevole come 9/a prova delle 2022 Trek Uci Gravel World Series, circuito mondiale che tocca 4 continenti. Domenica 4 settembre, sulle stesse strade della prova agonistica, 6/a La Monsterrato-Strade Bianche Monferrato, cicloturistica in libera escursione personale nel Monferrato patrimonio dell'umanità Unesco per il paesaggio vitivinicolo e gli Infernot. Info, regolamento ed iscrizioni aperte sul sito www.lamonsterrato.it

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